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Greenpeace contro la trivellazione petrolifera dell'ENI nel Mare di Barents

 

Una decina di attivisti di Greenpeace hanno manifestato questa mattina davanti alla sede dell’Eni contro il progetto di trivellazioni nel Mare di Barents, che bagna la costa occidentale della Norvegia, uno dei più grandi e incontaminati ecosistemi marini. Agli azionisti che proprio questa mattina si riunivano per l’assemblea annuale sono stati distribuiti volantini che illustrano la ricchezza di biodiversità e la fragilità di quell’area. Nel Mare di Barents, le freddi correnti artiche, ricche di nutrimento, incontrano le tiepide correnti meridionali, creando le condizioni ideali per la crescita del plancton, che è la base di una catena alimentare estremamente produttiva. Le più importanti specie marine commerciali si riproducono qui, creando la base per i maggiori bacini di pesca in Europa. All’Eni, unica azienda straniera, è stata assegnata una licenza di trivellazione per l’area Goliath a largo di Gjesværstappan nel Mare di Barents. Il governo norvegese ha concesso una licenza per l’esplorazione della zona, ma solamente dopo un forte conflitto politico interno. La trivellazione potrebbe iniziare a settembre del prossimo anno, proprio dopo il periodo riproduttivo dei pesci, in un’area vicina alla principale zona di riproduzione del merluzzo. La bassa temperatura rende l’ecosistema vulnerabile: tutti i processi biologici sono lenti e i tempi di recupero in seguito all’inquinamento della zona sarebbero lunghissimi. Per Greenpeace, l’Eni deve rispettare i principi ambientali inclusi nel suo codice etico, abbandonando i progetti di trivellazione nel Mare di Barents. "... Come primo passo, nel rispetto dei processi scientifici e democratici in Norvegia, l’Eni dovrebbe immediatamente impegnarsi a rimandare qualsiasi trivellazione esploratoria nel Mare di Barents fino al 2006, quando il piano integrato di gestione per l’area sarà adottato dal Parlamento Norvegese ..." ha detto Smith, Brad Smith, responsabile inquinamento di Greenpeace Nordic.

 

Fonte Greenpeace
www.greenpeace.it