a cura di Enrico Loi
prof. dott. Claudio Smiraglia
Università degli Studi
Cattedra di Geografia
Via Festa del Perdono 7
1-20122 Milano
Claudio Smiraglia & Guglielmina Diolaiuti
Università di Milano-Dipartimento di Scienze
della Terra "Ardito Desio"
Comitato Glaciologico Italiano
Comitato Scientifico del Club Alpino Italiano
È ormai riconosciuto che uno dei segnali più
evidenti dell'effetto serra" (le cui caratteristiche e la cui relazione
con le attività antropiche sono trattate da altri colleghi)
è la intensa fase di riduzione che sta subendo il
glacialismo montano da oltre un secolo. Sono molte le metodologie che
ci permettono di individuare e quantificare le fasi dinamiche recenti
dei ghiacciai montani e in particolare alpini: le misure di variazione
di lunghezza da segnali fissi iniziate in Svizzera nella seconda
metà del XIX secolo e poco dopo anche in Italia; i bilanci
di massa, cioè la differenza fra gli accumuli invernali e le
perdite estive; il confronto fra il materiale iconografico di vario
tipo (antiche carte, descrizioni e documenti vari, fotografie di varie
epoche, che forniscono informazioni qualitative; confronto in ambiente
GIS di carte a grande scala di recente produzione che permettono di
quantificare variazioni di superficie e di volume); rilievi
geomorfologici, soprattutto con l'individuazione dei depositi morenici
di vario tipo, che permettono di ricostituire le dimensioni e le
geometrie dei ghiacciai in periodi precedenti. Da tutte queste fonti
appare chiaro che il glacialismo alpino da oltre un secolo subisce una
fase di intenso regresso, che ha portato le superfici e i volumi a
ridursi di quasi il 50% dei valori di metà'800. Il fenomeno
non è stato tuttavia lineare. La fase di regresso
è stata interrotta da brevi e poco intense fasi di
progresso, in particolare negli Anni Venti e negli Anni
Sessanta-Ottanta del XX secolo, che hanno lasciato sul terreno ben
evidenti tracce geomorfologiche.
Sulle Alpi Italiane il regresso ha investito praticamente tutti gli
apparati glaciali con ritiri delle lingue da qualche chilometro a
qualche centinaia di metri di lunghezza. La fase negativa si
è accentuata dopo la fine della piccola espansione della
seconda metà del XX secolo e sta provocando sulle Alpi
fenomeni di tipologia e di intensità del tutto anomali,
soprattutto evidenti durante l'estate 2003. In particolare si
è assistito a profonde modificazioni ambientali dell'area
antistante i ghiacciai ed anche nei bacini che li contengono. La
fusione dei settori più a valle lascia allo scoperto nuove
superfici formate da detriti del tutto instabili, rimaneggiati
dall'intenso scorrimento delle acque, che provocano massicci fenomeni
di dissesto. Nei bacini superiori si assiste alla riduzione delle
coperture nivali e glaciali delle pareti che incrementano i fenomeni di
crioclastismo e di franosità.
Questo materiale cade sui ghiacciai e va ad ampliare la loro copertura
detritica; si assiste così all'aumento dei ghiacciai "neri"
o Mebris covered glaciers", la cui lingua è totalmente
coperta di detrito. Se lo spessore di questo detrito è di
pochi centimetri si verifica un incremento della fusione; al di sopra
di questo spessore il ghiaccio viene protetto e la fusione rallenta. Si
osserva anche un innalzamento della linea del nevato; in pratica i
bacini collettori perdono la neve invernale e viene intaccato anche il
nevato degli inverni precedenti, il ghiacciaio resta praticamente senza
alimentazione e nelle zone superiori si aprono numerosi crepacci e
l'acqua superficiale di fusione crea canali serpeggianti ed
inghiottitoi.
L'ambiente glaciale diventa in tal modo molto più pericoloso
e le ascensioni più impegnative, come è accaduto
durante l'estate 2003, quando le temperature anormalmente elevate per
un lungo periodo non solo hanno provocato la fusione di enormi spessori
di ghiaccio (sulle Alpi Lombarde 3-4 m a 2800 m di quota). ma anche
frane enormi per fusione del ghiaccio interstiziale che hanno richiesto
la chiusura di itinerari di alta montagna (ad esempio al Cervino o al
Bernina). Le ipotesi future sulla variazione dei ghiacciai sono
chiaramente legate agli scenari climatici. Se non vi sarà
un'inversione netta nelle tendenze climatiche recenti, è
ipotizzabile nell'arco di mezzo secolo un'ulteriore riduzione di
superficie e volumi che dovrebbe arrivare al 90-100% entro un secolo.
Si assisterebbe quindi all'estinzione quasi completa dei ghiacciai
alpini, che dapprima perderebbero le loro lingue vallive e
successivamente si ridurrebbero a qualche isolata placca di ghiaccio
morto sepolta di detriti. Le Alpi perderebbero quindi una delle
più affascinanti attrazioni paesaggistiche e offrirebbero un
paesaggio simile a quello degli Appennini.
Per ulteriori
informazioni:
Prof Claudio Smiraglia
Dipartimento di Scienze della Terra
Università degli Studi di Milano
Via Mangiagalli 34 - 20133 Milano
Phone: +39-02-5031551
Fax: +39-02-50315494
E-mail: claudio.smiraglia@unimi.it
http://users.unimi.it/glaciol/
Si
ringraziano
L'Ufficio federale dell'ambiente, delle foreste e del paesaggio (UFAFP)
L'Associazione delle Aziende Elettriche della Svizzera Italiana (ESI)
Mattero Bernasconi
Fonte ECplanet
|