L'IPCC,
nel suo terzo rapporto ha rivisto in chiave peggiorativa le sue
previsioni precedenti sulla entità dei cambiamenti in corso.
Si prevede che la temperatura media della superficie terrestre possa
crescere da 1,4 a 5,8°C. nel periodo 1990-2100.
Recenti studi basati su diversi indicatori,
confermano il riscaldamento in corso: i dati ricavati da bolle d'aria
intrappolate nei ghiacciai polari, dagli anelli di accrescimento degli
alberi, e nuove tecniche di interpretazione del gradiente termico degli
strati più superficiali della crosta terrestre (Henry
Pollack of the University of Michigan reported in Nature vol 403, pp
414 - 416) concordano nel ritenere particolarmente accentuato in
quest'ultimo secolo il riscaldamento globale.
Secondo tali studi, negli ultimi 500 anni la temperatura media
terrestre sarebbe aumentata di 1,1°C, di 0,6°C solo in
quest'ultimo secolo. Fra il 1997 e il 1998 si sono verificati i 16 mesi
consecutivi più caldi mai osservati.
Questo eccezionale riscaldamento può modificare
sostanzialmente la meteorologia planetaria mettendo a rischio molte
specie e minacciando intere popolazioni umane.
|
Gli
effetti sulla meteorologia |
Molte anomalie nei meccanismi meteorologici
che regolano il clima già sono evidenti. In particolare si
sono già notate importanti variazioni nei due grandi
oscillatori climatici che influenzano la situazione meteorologica su
gran parte del pianeta: El Niño Southern Oscillation (ENSO)
e la North Atlantic Oscillation (NAO). Si tratta di vastissime aree di
bassa pressione determinate dal riscaldamento delle superfici
oceaniche, che periodicamente si instaurano rispettivamente sul
Pacifico Meridionale e sull'Atlantico Settentrionale, modificando la
circolazione dei venti e le precipitazioni, regolando l'alternanza di
periodi asciutti e piovosi.
In particolare El Niño si verifica ogni 7 anni, portando
copiose precipitazioni e tornados sull'America centro-meridionale,
violenti uragani sull'intero Pacifico meridionale ed in Australia ed
influenza anche il verificarsi di periodi di siccità in
Africa Centro occidentale (Sahel). Il riscaldamento della superficie
degli oceani che sta avvenendo a causa dei cambiamenti climatici
porterà ad una maggiore frequenza di questo fenomeno e ad
una maggiore temperatura di queste grandi masse d'aria: l'effetto
atteso, in parte già osservabile, è una maggiore
violenza e frequenza degli uragani, e più lunghi periodi di
siccità nell'Africa Occidentale.
La North Atlantic Oscillation, che si basa sull'effetto combinato di
una vasta area di bassa pressione localizzata sull'Islanda e di un
campo di alte pressioni sulle Azzorre, regola i fenomeni meteorologici
sul continente europeo. Dalla sua modifica, aggravata dall'influenza
che El Niño esercita su di essa dipenderanno gli effetti dei
cambiamenti climatici sull'Europa.
Quindi gli stessi meccanismi che regolano i fenomeni meteorologici
verrebbero messi in crisi; in pratica nell'atmosfera si sta registrando
un accumulo di energia termica che rende più violenti i
fenomeni estremi. Ciò sta già accadendo, come
dimostra il seguente elenco dei fenomeni di straordinaria violenza
avvenuti in questi ultimi anni:
- Nel
maggio del 1999 un numero di tornados senza precedenti si abbatte sul
Kansas, l'Oklahoma e il Texas, causando distruzioni e 50 morti.
- Nel
mese di agosto piogge torrenziali eccezionali causano centinaia di
morti in Corea e Filippine, ed un numero imprecisato di sfollati.
- Sempre
nel 1999 l'alluvione causata dal fiume Yangtze causa centinaia di morti
ed oltre 2 milioni di sfollati.
- Nel
mese di ottobre 2 cicloni consecutivi provocano 10.000 morti nell'est
dell'India.
- Le
piogge torrenziali che si abbattono fra il novembre ed il dicembre del
1999 sul Vietnam, causano 700 morti e un milione di sfollati.
- A
metà dicembre in Venezuela, un tornado di violenza senza
precedenti causa circa 50.000 morti e 600.000 sfollati.
- Fra
dicembre 1999 e gennaio 2000 un inverno eccezionalmente rigido causa la
morte di 2 milioni di capi di bestiame, lasciando oltre mezzo milione
di persone con gravi carenze di alimenti.
- Nel
febbraio del 2000 una serie impressionante di cicloni devastano il
territorio del Mozambico, provocando la peggiore alluvione della storia
del paese, che lascia migliaia di morti, oltre 250.000 profughi e circa
1 milione di persone esposte a grave rischio di contrarre colera,
malaria e meningite. Lo stesso evento causa 80.000 sfollati in Zimbabwe
e 60.000 in Botzswana.
- Nello
stesso periodo i cicloni che si abbattono sul Madagascar distruggono il
90% delle coltivazioni di riso e provocano epidemie di colera.
|
Lo scioglimento dei
ghiacciai e l'aumento del livello dei mari |
Crescono i timori sulla stabilità
dei ghiacciai antartici; fino a poco tempo fa i glaciologi ritenevano
che ci sarebbero voluti migliaia di anni di massiccio riscaldamento
globale per sciogliere lo strato di ghiaccio dell'antartico orientale
che costituisce il 90% del continente di ghiaccio. Lo strato di tre
chilometri di spessore, esteso come gli interi Stati Uniti, vecchio di
10 milioni di anni, era sempre sembrato una inamovibile massa solida di
ghiaccio. Ma ora i ricercatori Britannici, dell'Università
di Bristol, hanno scoperto che questi ghiacci non sono così
stabili come si pensava; al suo interno scorrono infatti dei fiumi di
ghiaccio ed acqua. Ciò significa che, continuando il
riscaldamento globale questi fiumi nascosti farebbero scivolare in
acqua la calotta polare, causandone lo scioglimento in poche centinaia
di anni invece che in diversi millenni (Science, Bamber et al, February
18; 287: 1248-1250).
Elemento predominante dei mari artici
è la calotta di ghiaccio, la quale, a causa del
surriscaldamento globale risultante dalle emissioni di gas a effetto
serra, potrebbe ridurre la sua solidità e la sua estensione.
I mari artici a piattaforma sono tra i più produttivi del
mondo ed è possibile incontrare un grande numero di
organismi a tutti i livelli trofici lungo le cime del ghiaccio, i
canali sgombri e le polinie dove l'interazione tra ghiaccio, luce
solare e correnti marine è tra le più forti
(Sakshaug et al. 1994). Riduzioni nell'estensione della calotta di
ghiaccio minerebbero la produttività degli oceani
settentrionali. Particolarmente preoccupante è il fatto che
lo scioglimento del ghiaccio comporterebbe la perdita di specie preda
da esso dipendenti per predatori quali l'orso polare (Tynan e Demaster,
1997).
Il ciclo stagionale dello scioglimento del
ghiaccio crea una mescolanza verticale nella colonna oceanica che
consente alle acque ricche di sostanze nutritive di raggiungere la
superficie. Diatomee costituite da colonie e alghe grigioblu fioriscono
nella parte sottostante i banchi di ghiaccio galleggianti. In
primavera, quando la luce solare ritorna alle alte latitudini
settentrionali e la banchisa si ritira a nord, queste alghe seminano
una fioritura di fitoplancton nello strato di acque salmastre ricche di
sostanze nutritive, che si forma al di sopra delle gelide e dense acque
marine sottostanti. Zooplancton e piccoli crostacei, quali copepodi,
anfipodi e krill, si cibano di questa fioritura. Questi a loro volta,
fungono da cibo per pesci (in particolare per il merluzzo artico),
foche, uccelli marini, e altri predatori. Tuttavia è proprio
nelle acque aperte dei canali sgombri e delle polinie che la
produttività è più alta e predatori di
primo livello, come l'orso polare, banchettano dell'abbondanza di
specie dipendenti dal ghiaccio che qui si raccolgono (Sakshaug et al.
1994). Data la sua posizione in cima alla catena alimentare marina
artica, l'orso polare è la specie ideale attraverso la quale
monitorare gli effetti cumulativi del cambiamento climatico
nell'ecosistema marino artico (Stirling e Derocher 1993).
Le comunità indigene lungo la costa dei Mari di Bering e
Chukchi hanno notato sostanziali cambiamenti nell'ecosistema marino a
partire dal 1970. I natii dell'Alaska, hanno sperimentato inverni
più caldi, precoci inizi di primavera, e una calotta di
ghiaccio sempre più sottile (Pungowiyi 2000). Tale
conoscenza tradizionale trova eco nelle prove scientifiche. Per tutto
il XX secolo, sono state le eseguite seguenti osservazioni scientifiche:
- Le
temperature dell'aria nell'Artico sono aumentate di circa 5°C
negli ultimi 100 anni, nonostante non siano geograficamente uniformi
(Serreze et al. 2000).
- Dal
1972, è stato osservato una riduzione del 10%
nell'estensione della calotta di ghiaccio lungo l'emisfero
settentrionale (Brown, 2000).
- Tra il
1978 e il 1996, la calotta di ghiaccio artica è diminuita di
circa il 3% per decennio (Parkinson et al. 1999). La Figura 2 mostra
che l'estensione della calotta in primavera nel Mare del Nord si
è ridotta del 33% negli ultimi 135 anni (Vinje 2001).
Inoltre negli ultimi 30 anni si è manifestata una
diminuzione del 40% nella solidità minima della calotta
artica durante la stagione estiva (Rothrock et al. 1999).
La calotta di ghiaccio è
fondamentale per la sopravvivenza dell'orso polare. E' la piattaforma
dalla quale esso caccia poiché è qui che si trova
la sua preda primaria, la foca anellata e barbata, la quale a sua volta
dipende dalla calotta, dove trova rifugio, da alla luce i cuccioli e li
alleva. E' stato dimostrato che una variazione regionale nella
distribuzione e nell'estensione stagionale della calotta di ghiaccio
comporta notevoli effetti per la sopravvivenza delle foche e di
conseguenza dell'orso polare (Stirling 1997).
Benché distinti modelli di
proiezione riguardanti la distribuzione futura della calotta
differiscano quantitativamente l'una dall'altra, il loro punto in
comune è che il declino dell'estensione della calotta e
della sua solidità proseguirà per tutto il XXI
secolo a causa del surriscaldamento climatico. La Figura 3 ne da una
dimostrazione fornendo i risultati dell'estensione media annuale del
ghiaccio derivanti da due modelli, il primo elaborato dal Laboratorio
Geofisico per le Dinamiche dei Fluidi (GFDL) statunitense e il secondo
dal Centro di Hadley britannico. Benché il secondo modello
sottostimi l'estensione e la solidità della calotta
dell'emisfero settentrionale, le simulazioni concernenti il declino
dell'estensione del ghiaccio negli ultimi 30 anni concordano
abbondantemente, prevedendo una rilevante diminuzione dell'estensione e
della solidità della calotta nei prossimi 50 anni (Vinnikov
et al 1999). La proiezione del GFLD mostra che entro il 2050
l'estensione della calotta si ridurrà di circa il 80%
rispetto alla superficie che ricopriva a metà del XX secolo.
Figura 2: La serie temporale dell'estensione
della calotta durante il mese di aprile nel Mare del Nord (1864-1998)
mostra una sua riduzione del 33% per l'intera regione (curvatura in
alto) e le sue aree orientali (curvatura media) e occidentali
(curvatura bassa) (post Vinje 2001).
Figura 3: Variazione osservata e modellata
delle medie annuali dell'estensione della calotta artica. Pubblicata su
autorizzazione di Vinnikov et al. 1999. Copyright 1999 American
Association for the Advancement of Science (Associazione Americana per
il Progresso della Scienza).
Secondo la simulazione a computer condotta
da Gordon e O'Farrell (1997), si prevede che nell'Artico durante
l'estate per una perdita del 60% della calotta derivante dal
raddoppiamento di Co2 si avrà un corrispondente
prolungamento della stagione estiva priva di ghiaccio da 60 a 150
giorni. Secondo Stirling et al. (1999) il successo della caccia durante
la stagione primaverile consente all'orso polare di massimizzare le
riserve di grasso necessarie per la sopravvivenza, la riproduzione e
l'allattamento durante il resto dell'anno. Un prolungamento dei periodi
privi di ghiaccio, derivante da una precoce comparsa della primavera e
da una ritardo nella formazione del ghiaccio durante la stagione
invernale influirà sul numero di orsi polari nelle porzioni
meridionali dei loro pascoli come la Baia di Hudson. In queste aree,
durante l'inverno e sino all'inizio dell'estate, gli orsi vanno a
caccia sulla calotta, poi con lo scioglimento completo del ghiaccio,
sono costretti a far ritorno alla terraferma e a digiunare utilizzando
il grasso immagazzinato in attesa dell'inverno che riformerà
il ghiaccio. Pertanto, se a causa del surriscaldamento climatico il
ghiaccio si scioglierà per l'anticipo di primavera,
sarà ridotto il tempo disponibile per l'orso polare da
dedicare alla caccia delle foche e quindi ricostituire le sue
condizioni fisiche. Studi condotti nella Baia di Hudson mostrano che
per ogni settimana di anticipo nello scioglimento l'orso polare che
giungerà sulla terraferma presenterà una
riduzione del peso di 10 kg. (Stirling e Derocher 1993) e precarie
condizioni fisiche (Stirling et al. 1999).
E' stato dimostrato che cambiamenti nella
calotta che comportino un riscaldamento di 1°C nella Baia di
Hudson potrebbero implicare una perdita di peso di 22 kg. nelle femmine
(circa il 8% del totale peso corporeo), provocata dalla diminuzione dei
giorni trascorsi sul ghiaccio alla ricerca di cibo (Stirling e Derocher
1993). Derocher e Stirling (1996) negli anni 1980-1992 riscotrarono
nella parte occidentale della Baia di Hudson che la sopravvivenza dei
cuccioli dalla primavera alla fine del periodo privo di ghiaccio in
autunno era del 44%, e la principale causa di morte era o l'assenza di
cibo o la mancanza di grasso materno per l'allattamento.
Con il successo riproduttivo strettamente
dipendente dalle condizioni fisiche (Derocher e Stirling 1996), l'orso
polare con molta probabilità subirà una massiccia
riduzione nel numero di popolazioni che trascorrono il loro tempo tra
terra e mare; se le emissioni di gas a effetto serra seguiteranno ad
aumentare, la calotta si scioglierà, potendo condurre
persino all'estinzione locale.
Oltre ai cambiamenti nell'estensione della
calotta, si prevede che il cambiamento climatico nell'Artico possa
comportare un aumento delle precipitazioni (IPCC 2001b). Un cambiamento
di tale portata colpirebbe indirettamente l'orso polare. D'altro canto,
le foche anellate potrebbero beneficiare dell'aumento delle nevicate.
Lydersen e Gjertz (1986) condussero ricerche sulle tane natali della
foca anellata a Svalbard, riscontrando che queste tane presentavano
rilevanti coperture di neve rispetto alle tane dei giovani maschi o dei
subadulti. Ciò indica una propensione delle femmine con
cuccioli a optare per tane con accumuli di neve sempre più
pesanti, che forniscano ulteriore protezione dai predatori,
contribuendo a incrementare il tasso di sopravvivenza dei cuccioli.
Tuttavia se l'aumento di precipitazioni giungesse sotto forma di
pioggia, questo comporterebbe uno scioglimento delle tane. I derivanti
effetti sulla popolazione potrebbero essere devastanti a causa
dell'esposizione dei piccoli e dell'aumento di predazione (Furgal et
al. 1996; Hammil e Smith 1991). In un clima futuro che presenti
rilevanti aumenti nella frequenza o nella quantità di
pioggia, Stirling e Derocher (1993) prevedono che l'incremento nella
predazione tanto per l'orso polare quanto per le volpi artiche
causerebbe una depressione nella popolazione di foche sufficiente a far
declinare sensibilmente il numero di orsi polari.
Ben poco sappiamo riguardo a come l'orso
polare possa adattarsi ai cambiamenti nella disponibilità di
foche anellate, anche se, poiché differenti specie di foche
mostrino differenti affinità alle caratteristiche specifiche
del ghiaccio (Burns 1981; Ronald e Healey 1981; Frost e Lowry 1981), il
cambiamento climatico e le mutazioni delle condizioni del ghiaccio
potrebbero favorire altre specie di foche, aumentando il numero di
queste popolazioni. Se così fosse, è probabile
che tali specie diverrebbero sempre più prevalenti nella
dieta dell'orso. Ad esempio, da un'analisi preliminare degli acidi
grassi nell'orso polare effettuata nella parte occidentale della Baia
di Hudson dalla Dr.ssa Sara Iverson dell'Università di
Dalhousie e Ian Stirling del Canadian Wildlife Service (Servizio
Faunistico Canadese), si evince che recentemente nella dieta dell'orso
è aumentata la proporzione di foche del porto e di foche
barbate (I. Stirling, pers. comm.).
Ulteriormente preoccupante in un futuro
caratterizzato dall'aumento delle precipitazioni è l'effetto
del tempo avverso sulle tane da riproduzione dei cuccioli di orso
polare. La pioggia in inverno inoltrato potrebbe causare un collasso
delle tane prima che le femmine e i piccoli possano dipartirvi
(Clarkson e Irish 1991; Stirling e Derocher 1993). Temperature
primaverili più calde potrebbero inoltre sciogliere le tane,
esponendone così gli occupanti agli elementi e ai predatori.
Negli ultimi 50 anni in alcune parti dell'Artico è stata
osservata la tendenza a venti più forti e a un aumento del
ghiaccio alla deriva (Proshutinsky e Johnson 1997, Proshutinsky et al.
1999). Se questa tendenza continuasse, come mostra Mauritzen (2001),
queste popolazioni di orsi polari sarebbero con molta
probabilità sottoposte a un aumento del consumo energetico e
dello stress, trascorrendo essi gran parte o tutto il proprio tempo sul
ghiaccio.
I cambiamenti di temperatura nell'Artico
causati dalle emissioni di gas a effetto serra hanno apportato
riduzioni nell'estensione della calotta di ghiaccio e prolungati
periodi privi di ghiaccio. Si prevede che tale tendenza possa seguitare
nel corso del XXI secolo. Benché gli effetti a breve termine
dell'estensione massimale di ghiaccio, così come delle
dinamiche della calotta di ghiaccio e della sua struttura, possano
variare nelle differenti aree dell'Artico, essi rappresentano la
principale sfida per la conservazione dell'orso polare.
Ma in tutto il mondo i ghiacciai si stanno
sciogliendo; nell'ultimo secolo quelli del monte Kenya hanno perso il
92% del loro volume e quelli del Kilimanjaro il 73%. I ghiacciai alpini
hanno perso circa il 50% del loro volume. Anche i ghiacciai italiani si
stanno rapidamente sciogliendo secondo i dati della campagna di
monitoraggio effettuata dall'Istituto Italiano di Glaciologia, e
presentati alla fine del 2000. L'estensione dei ghiacciai italiani si
è ridotta alla metà nell'ultimo secolo, da 1000
km2 a 500 km2. Il limite della neve si è innalzato di 100m
lasciando molti ghiacciai nella zona di ablazione, condannandoli quindi
ad un rapido scioglimento. La riduzione dei ghiacciai può
provocare fenomeni erosivi e frane, minacciando molte città.
Si possono ipotizzare fenomeni simili a quelli accaduti fra 15000 e
10000 anni fa, quando il ritiro dei ghiacciai alpini causò
enormi disastri modificando radicalmente la morfologia di vaste aree.
Lo scioglimento dei ghiacciai, insieme alla
dilatazione termica dell'acqua degli oceani farebbe aumentare il
livello dei mari, già cresciuto di 10-25 centimetri
nell'ultimo secolo da 14 a 80 cm (alcuni studi arrivano a prevedere 124
cm), causando la sommersione di vaste aree costiere, parti di
città ed interi arcipelaghi. Molte falde acquifere
diverrebbero inoltre inutilizzabili a causa della penetrazione di acqua
salata.
|
Effetti
sulla salute |
I cambiamenti climatici, secondo i ricercatori
del Johns Hopkins School of Public Health in Baltimore, comporteranno
un aumento del rischio di epidemie di diarrea nei bambini. Lo studio
effettuato su più di 50.000 bambini di Lima fra il 1993 e il
1998, ha rilevato un aumento dei casi ogni volta che la temperatura
sale, anche in inverno. Lo studio ha evidenziato che per ogni grado di
aumento della temperatura i casi di bambini ricoverati per il
trattamento della diarrea cresce dell'8%. I cambiamenti climatici non
porteranno solo le dissenterie, ma creeranno le condizioni favorevoli
ad un gran numero di patologie.
Si teme inoltre per un ritorno della malaria in paesi dove si riteneva
definitivamente debellata. |
Scenari
regionali |
Alcuni scenari nazionali e regionali sono
stati compilati utilizzato utilizzando 10 diversi modelli di
simulazione climatica.
ARGENTINA
|
- Gli
anni '90 sono stati il decennio più caldo del secolo.
- Le
temperature nel nord sono destinate a crescere fra 0,1 1e 0,4
°C per decennio. Nel sud l'aumento sarà fra 0,1 e
o,25 °C
- Le
precipitazioni annuali caleranno sulle Ande del 18% entro il2080'
- Le
precipitazioni annuali aumenteranno di una piccola quantità
nell'Est del paese
- La
riduzione della portata dei fiumi andini potrebbe compromettere la
fornitura idrica alle centrali idroelettrica ed ai sistemi di
irrigazione nell'Argentina centro-occidentale già affetta da
carenze idriche.
- Il
riscaldamento marino e lo scioglimento dei ghiacci minaccia le
popolazioni di balene (Southern Right Whale) frammentando le riserve di
"krill" che costituisce il loro principale nutrimento.
- Il
Parco Nazionale di Iguazu, che ospita oltre 400 specie di uccelli ed
animali selvatici e 200 specie vegetali, può subire una
variazione nelle precipitazioni e un aumento della frequenza di
stagioni secche.
|
AUSTRALIA
|
- Il decennio
1989-1998 è stato il più caldo mai registrato
- Si prevede
che le temperature future dell'Australia aumentino fra 0.15ºC
e 0.5ºC per decennio
- Le
precipitazioni dovrebbero ridursi sia in estate che in inverno
- La
siccità negli stati orientali potrebbe raddoppiare o
triplicare in futuro
- Le estati
torride che si verificano mediamente ogni dieci anni potrebbero
diventare un evento annuale nella maggior parte dei casi
- Aumento del
rischio di incendi
- Gli habitat
montani dell'opossum pigmeo di montagna (mountain pygmy possum) in
Victoria e New South Wales sono minacciati.
- Le foreste
di mangrovie, come nel Kakadu National Park, potrebbero diventare
più vulnerabili a causa dell'innalzamento del livello del
mare e della crescita delle onde durante le tempeste
- La Grande
Barriera corallina, dove i coralli si stanno scolorendo a causa della
crescita di appena 0.5°C della temperatura marina, potrebbe
trovarsi in una situazione di aumento della temperatura fra 1.5 e
3,5°C entro il 2100. I coralli sono anche minacciati
dall'aumento di CO2 nell'aria che riduce che riduce la
quantità di carbonati di calcio disciolti nell'acqua, che
sono essenziali per la crescita del corallo.
|
BRASILE
|
- Il Brasile
si è riscaldato di 0,5°C in quest'ultimo secolo.
Negli anni '90 si sono verificarti i tre anni più caldi del
secolo.
- Si prevede
che le temperature del periodo giugno-agosto cresceranno fra 0,2 e 0,6
°C per decennio con il maggior riscaldamento nella foresta
Amazzonica
- Le
precipitazioni in Amazzonia diminuiranno fra il 5 e il 20 %durante il
periodo marzo-maggio.
- La
siccità minaccerà particolarmente le specie
arboree, incluse quelle degli habitat più minacciati del
mondo di foreste stagionalmemente alluvionate, e il gran numero di
specie che sostengono.
- Grandi aree
della Foresta Amazzonica saranno esposte ad un elevato rischio di
incendio
- L'aumento
delle coincentrazioni di CO2 può compromettere la
viticoltura ed altre colture arboree.
- Lo stato di
Rio Grande può subire un aumento delle precipitazioni fra il
5 e il 20%
- Il Pantanal
è una delle più grandi paludi di acqua dolce del
mondo, che ospita 700 specie di uccelli e 70 specie di mammiferi, fra
cui ocelot e giaguari, Le annate piovose del Pantanal possono diventare
2-3 volte più frequenti di oggi portando più
frequenti alluvioni.
|
CANADA
|
- Le
temperature annuali del Canada a nord dei 60° cresceranno fra
0,2 e 0,7 °C per decennio
- Le
precipitazioni annuali aumenteranno su tutto il Canada e nella regione
Artica fra il 15 e il 45% entro il 2080
- Le estati
diverranno più secche del 10% nella south-central British
Colombia, central Alberta e northern Saskatchewan
- Vaste aree
di permafrost si scioglieranno distruggendo l'habitat della vegetazione
Artica.
- Le foreste
boreali saranno minacciate dall'aumento di insetti infestanti e dal
fuoco.
- La modifica
delle stagioni minacceranno le praterie dove vivino i caribou
- L'orso
polare sarà minacciato dallo scioglimento dei ghiacci
|
CINA
|
- Le
temperature possono crescere in futuro fra 0,18 e 0,45 °C per
decennio
- Gli inverni
caldi saranno particolarmente frequenti nella Chiuna del nord, ma le
estati nel deserto del Gobi, nel nord/ovest, potrebbero essere
più calde di 4,5 °C entro il 2080
- Le
precipitazioni durante la stagione delle piogge cresceranno del 5-15%
nel nord/ovest e nel sud/ovest Inverni più umidi si
verificheranno in tutto il paese
- La zona
fredda boreale subirà le maggiori conseguenze delk
riscaldamento e dell'aumento di umidità. Le foreste si
sposteranno verso nord e diminuiranno nella Heilungkiang Province nel
nord/estChina
- Wolong
Nature Reserve, istituita per proteggere il Panda Gigante e
Xishuangbanna Nature Reserve, che ospita tutte le piante tropicali
cinesi, molte delle quali con proprietà medicinali, potrebbe
avere ogni anno estati torride. Ilclima del Wolong può
diventare più variabile con l'alternarsi di estati molto
secche e molto umide
- Il 10% dei
mammiferi cinesi sono a rischio di estinzione.
|
PENISOLA IBERICA
|
- Si prevede
che la temperatura media crescerà fra 0.16 e 0.45 °C
per decennio
- Le
precipitazioni annuali potrebbero aumentare fra il 5 e il 15% ma le
estati saranno più secche
- Gli uccelli
migratori saranno minacciati dal prosciugamento delle aree umide del
Parco Nazionale Doñana
- L'innalzamento
del livello del mare minaccia gli ecosistemi umidi attraverso la
penetrazione di acque salate
- La perdita
di habitat della lepre e delle anatre minaccia la sopravvivenza della
lince iberica.
- Gli incendi
estivi delle foreste aumenteranno in frequenza, intensità ed
estensione.
|
INDONESIA
|
- Si prevede
che le temperature cresceranno tra 0.1 e 0.3 °C per decennio
- Le piogge
annuali cresceranno nella maggioranza delle isole eccetto che a Java
dove diminuiranno fino al 15% entro gli anni '80 del 2000.
- Negli anni
2080 Giacarta sarà più secca fra il 5 e il 15%.
- L'aumento
della frequenza di anni torridi e secchi faranno aumentare gli incendi
boschivi.
- Siccità
e incendi l'habitat e le risorse alimentari dell'orangutan, specie
già a rischio di estinzione.
|
GIAPPONE
|
- Le
temperature estive cresceranno fra gli 0.1 ed i 0.3 °C per
decennio
- A Tokyo
negli anni 2050 ogni anno si verificheranno estati torride che
normalmente si verificano ogni 10 anni.
- Ondate di
caldo in città come Tokyo aumenteranno in frequenza e
intensità.
- L'innalzamento
del livello del mare potrebbe distruggere più della
metà, e forse tutte, le spiagge del paese e città
come Tokyo, Osaka e Nagoya
- Gli
ecosistemi delle barriere delle isole Nansei Shoto saranno minacciate
dal riscaldamento dell'oceano e dalle elevate concentrazioni di CO2
|
CENTROAMERICA
(Mexico, Guatemala, Belize, Honduras, Nicaragua, El Salvador, Costa
Rica, Panama, e tutte le isole caraibiche)
|
- Le
temperature future cresceranno fra 0.13 e 0.45 °C per decennio
- Il
riscaldamento sarà maggiore sugli altipiani delMexico, ma la
maggior parte dei paesi potrà registrae temperature
più calde di 5 °C entro gli anni 2080
- Le
precipitazioni probabilmente diminuiranno fra il 5 e il 20% nel Sud del
Mexico e in Guatemala entro gli anni 2080
- L'aumento
della frequenza delle siccità avrà un ampio
impatto sulle foreste dell'America Centrale
- La
siccità nelle foreste pluviali del Monteverde in Costa Rica
può raddoppiare in futuro le minacce agli habitat degli
anfibi e delle lucertole, come nel caso del Golden Toad appena estinto.
- Le barriere
coralline del Centroamerica che si estendono per 250 km dal Messico
all'Honduras potrebbe subire gravi danni dall'aumento della temperatua
del mare di 1-3 °C negli anni 2080
- Il
riscaldamento del mare potrebbe minacciare anche l'esistenza delle
tartarughe testadilegno
|
ANDE DEL NORD
(Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela)
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- Aumento di
0.8 °C nell'ultimo secolo
- Temperature
notturne che crescono più velocemente di quelle diurne
- Diminuzione
delle gelate alle alte quote
- Significative
perdite di ghiaccio nei ghiacciai dell'Ecuador e del Venezuela come
nella calotta di ghiaccio del Quelccaya nel sud del Peru e del
ghiacciaio Yanamarey glacier nel Perù centrale
- Si prevede
un riscaldamento più rapido sulla catena delle Ande
- Peru,
Ecuador e sud Colombia diverrano più umide, mail nord della
Colombia e del Venezuela diventeranno più secchi
- La
siccità nelle pianure del Venezuela potrà
compromettere l'habitat del coccodrillo dell'Orinoco
- L'innalzamento
del livello del mare costituirà un problema per la costa
orientale del lago di Maracaibo
- Le specie
botaniche d'alta quota sono minacciate dal riscaldamento nel Parco
Nazionale dell'Huascaran nella Cordillera Blanca.
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PHILIPPINE
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- Si prevede
che le temperature crescano tra 0,1 e 0,3 °C per decennio
- Le
precipitazioni cresceranno durante il periodo umido giugno-novembre,
tra il 5 e il 15% durante gli anni 2050
- Le
precipitazioni diminuiranno fino al 20% durante il periodo secco fra
dicembre e maggio negli anni 2050.
- Il livello
del mare crescendo minaccerà fra 500.000 e 2.500.000 persone
e 2000-5000 ettari di terra nella baia di Manila entro gli anni 2050.
- La barriera
corallina di Tubbataha è minacciata dal riscaldamento
dell'oceano e dalle elevate concentrazioni di CO2
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RUSSIA
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- Le
temperature nel nord della Russia sono destinate a crescere fra 0,35
e0,7°C per decennio
- Le
precipitazioni cresceranno in tutta la Federazione Russa.
- La regione
fra Omsk e Kransnovarsk probabilmente vedrà diminuite le
precipitazioni fra il 5 e il 15%
- Le foreste
Boreali sarannoi spinte ad espandersi verso nord e verranno sostituite
al sud da steppe
- Estati
torride nella Riserva Forestale di Pechoro-Ilychsky può
veder crescere fino a 7 volte il rischio di incendi.
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STATI UNITI D'AMERICA
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- Gli USA
hanno subito un aumento di temperatura di 0,7°C nell'ultimo
secolo, e il 1998 è stato l'anno più caldo del
secolo
- Gli ultimi
20 anni sono stati i più piovosi deel secolo registrando una
tendenza a più intense precipitazioni
- Gli USA si
riscalderanno più rapidamente della media, in particolare in
Alaska dove il riscaldamento invernale può toccare 1 grado
per decennio
- Il
riscaldamento estivo del West sarè di 0,2-0,5 °C per
decennio
- L'innalzamento
del livello del mare città costiere come New York, Boston e
Miami
- Gli USA
diverranno mediamente più piovosi; alcuni stati del Sud
diventeranno più secchi in estate. Gli inverniin California
saranno del 30% più piovosi negli anni 2050
- L'innalzamento
del livello del mare e l'aumento di salinità
ridurrà la raccolta di ostriche in Delaware Bay e Chesapeake
Bay
- Blackwater
National Wildlife Refuge in Chesapeake Bay potrebbe essere decimato
dall'innalzamento del livello del mare e dall inquinamento entro 30 anni
- Importanti
minacce alle zone umide costiere della Florida, e della Louisiana e
più feequenti fioriture algali saranno provocate dalla
crescita della temperatura del mare
- Stagioni
torride 10 volte più frequenti e stagioni secche due volte
potrebbero minacciare le più importanti aree di
alimentazione degli uccelli acquatici del Nord America, causando grandi
perdite economiche
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ZIMBABWE
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- La crescita
delle temperature medie sarà di 0,15-0,55°C per
decennio
- Negli anni
2080 le precipitazioni annue diminuiranno fra il 5 e il 18% rispetto
alla media del periodo 1961-90
- Si
espanderanno le aree semi deserte del sud ovest
- I pascoli
saranno sostituiti da savana e boscaglia spinosa che potrebbe
minacciare<molte specie animali
- L'aumento
della siccità minaccerà persone vita selvatica
- L'abbassamento
del livello del Lago Kariba minaccerà la produzione di
energia e gli animali del Kariba National Park
- Solo un
piccolo aumento delle temperature notturne potrebbe provocare epidemie
di malaria nella capitale Harare
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ITALIA
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L'Italia verrebbe a trovarsi, secondo
le previsioni, divisa fra due fasce climatiche ben marcate. Dovremmo
avere al sud una forte riduzione delle precipitazioni su base annua con
una concentrazione di pochi violenti fenomeni in pochi giorni che
causerà la desertificazione di vaste aree pianeggianti,
frane ed erosioni nelle aree montane; già oggi circa un
quarto del territorio italiano è a rischio di
desertificazione. Viceversa al nord si avrebbe un aumento delle
precipitazioni, anch'esse concentrate stagionalmente, che
causerà alluvioni e dissesti sempre più frequenti.
L'andamento meteorologico di questi ultimi anni sembra in linea con
queste previsioni, anche se rimane difficile pronunciarsi con certezza
a causa di particolari situazioni microclimatiche che potrebbero
crearsi smentendo almeno in parte le previsioni effettuate con i
modelli climatici globali.
Il 2000 è stato infatti caratterizzato da forti anomalie
meteorologiche anche in Italia. Nei primi tre mesi si è
verificata una scarsità di precipitazioni su tutto il paese.
In Sardegna durante gennaio e febbraio le precipitazioni sono state
dell 80% inferiori al normale. A Torino è stato il quarto
inverno degli ultimi 150 anni per scarsità di
precipitazioni. A Milano non siaveva una siccità simile dal
1764. Nel mese di febbraio in Liguria non ha mai piovuto e in Veneto
son caduti 0,4 mm di pioggia contro una media per questo mese di 72,9
mm Si è riscontrato che il 27% del territorio nazionale
è ormai a richio di desertificazione. Durante il mese di
marzzo si sono verificate temperature superiori di ben 10°C
rispetto alla norma. A un giugno molto afoso e caldo è
seguito un luglio insolitamente freddo e piovoso al nord e secco al
sud. Quindi un settembre con picchi di temperatura che hanno raggiunto
i 37°C il giorno 20 a Palermo.
Mentre in autunno il sud continuava in generale a soffrire la
siccità nel nord si verificavano precipitazioni
eccezionalmente intense che causavano catastrofiche alluvioni:
- 10 Settembre - Calabria, Soverato,
improvvisa e violentissima tempesta di pioggia, un torrente esonda ed
uccide13 persone in un camping.
- 15 Ottobre - esondano molti fiumi
nel nord, ed anche il Lago Maggiore e il Lago di Como causando 25
vittime.
- 5 Novembre - Altre tre persone
muoiono in alluvioni al nord
- 20 Novembre - 5 vittime in Toscana
a seguito di alluvioni causate da tempeste eccezionalmente violente.
- 24 Novembre - altre tre persone
muoiono per le alluvioni in Liguria.
- Natale - Mentre il nord
è sotto al centro e al sud si registrano temperature record,
20°C in Sicilia e 17°C a Roma.
Questa situazione sembra perfettamente in linea con le previsioni degli
esperti sugli effetti sull'Italia dei cambiamenti climatici.
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Biodiversità |
Il riscaldamento del globo costituisce forse
la più grave fra le minacce alla biodiversità del
pianeta. Diversamente da altre minacce causate dallo sviluppo umano,
essa possiede il potenziale per influenzare tutti gli ecosistemi,
inclusi quelli ancora lontani dalla popolazione umana e classificati
come aree di natura incontaminata. Purtroppo, malgrado la sua natura
così insidiosa, sono stati portati a termine pochi sforzi
per valutare le conseguenze potenziali del riscaldamento terrestre
sugli ecosistemi globali. Inoltre, i pochi intrapresi hanno concentrato
l'attenzione sui flussi di energia e materia negli ecosistemi,
piuttosto che sulle specie che li compongono. Le correlazioni fra
riscaldamento del globo e biodiversità mondiale rimangono
ancora largamente ignorate.
Analizziamo brevemente la minaccia del
riscaldamento globale nei confronti di quelle ecoregioni identificate
come aree di particolare interesse dal punto di vista della
biodiversità (le "Global 200" . In verità, queste
ecoregioni rappresentano il fiore all'occhiello della
diversità biologica del pianeta. Esse possiedono
un'importanza particolare dal punto di vista del riscaldamento globale
per il loro valore in relazione alla biodiversità; vale a
dire, perché rappresentano ampiamente le comunità
biologiche del pianeta, per l'ampia varietà delle specie, la
differenziazione biologica e l'integrità. La
possibilità di un impatto di vasta portata su queste zone
costituisce una minaccia primaria alla biodiversità del
pianeta. Inoltre, le minacce a questi ecosistemi evidenziano un
"adattamento forzato", provocato dal clima, che deve essere evitato in
base alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici (Articolo 2).
In uno studio effettuato dal WWF
Internazionale e dall'Università di Toronto, "Habitats at
risk" (febbraio 2002) sono stati utilizzati alcuni modelli di
cambiamento climatico e della vegetazione a livello mondiale per
esaminare con attenzione queste tre importanti minacce, indotte dal
riscaldamento globale, alle ecoregioni Global 200:
1) Invasione di nuove tipologie di habitat
(e corrispondente perdita degli habitat originali)
2) Cambiamenti, a livello locale, delle tipologie di habitat
3) Alto tasso di migrazione coatta delle specie.
Sono stati impiegati sette modelli climatici
(modelli di circolazione generale o GCM) e due modelli di vegetazione
(BIOME3 e MAPSS) allo scopo di riprodurre 14 scenari di impatto in
condizioni di clima associato con un raddoppiamento della
concentrazione atmosferica di CO2, 1 fenomeno che si prevede
accadrà fra meno di 100 anni. Le analisi precedenti indicano
che la maggior parte delle variazioni di questi scenari sono
attribuibili agli specifici modelli di vegetazione impiegati; di
conseguenza, vengono forniti risultati separati per i due modelli. I
modelli non forniscono solo informazioni sulla biodiversità,
ma simulano la distribuzione, sia attuale sia in futuro, delle
principali tipologie di vegetazione (biomi), quali tundra e foresta
pluviale tropicale di latifoglie. È stato possibile
utilizzare questi modelli in vari modi, tutti finalizzati allo studio
indiretto dei possibili cambiamenti nella biodiversità
all'interno delle ecoregioni:
- Allo scopo di misurare l'invasione di
nuove tipologie di bioma nelle ecoregioni, sono state paragonate la
composizione futura e quella attuale del bioma delle ecoregioni. Il
manifestarsi di nuove tipologie di bioma indica un declino dei
componenti originali, che a sua volta costituisce un segno del declino
nella varietà delle specie dell'ecoregione.
- Allo scopo di misurare la potenziale
perdita degli habitat attuali, sono state paragonate le distribuzioni
attuali di bioma con quelle previste in futuro nei vari scenari e si
è provveduto a quantificare la percentuale di variazione.
Una variazione nel tipo di bioma indica una potenziale diminuzione
della varietà delle specie locali quando una sparizione
indotta dal clima non corrisponde ad una migrazione in entrata. Viene
presentato un semplice modello concettuale di varietà delle
specie locali per dimostrare l'influenza dell'estinzione e delle
migrazioni sulle stesse specie locali.
- Le sparizioni degli habitat presenti
nelle ecoregioni sono state confrontate con un insieme casuale di siti,
costruiti in modo tale da presentare la medesima composizione di bioma
delle ecoregioni originali. Queste analisi indicano quanto le
ecoregioni Global 200 siano vulnerabili relativamente alla composizione
del loro bioma. Di uguale importanza è la valutazione, che
esse forniscono, della vulnerabilità comparata delle
ecoregioni che presentano le stesse tipologie principali di
vegetazione.
- Allo scopo di misurare il tasso di
migrazione imposto alle specie dal riscaldamento del globo, sono state
calcolate le velocità alle quali i principali biomi
dovrebbero migrare, per tenere il passo con i cambiamenti climatici e
seguire la traslazione delle condizioni meteoclimatiche originarie. Gli
spostamenti dei confini dei biomi nei diversi scenari climatici sono
stati utilizzati come indicatori degli spostamenti dei confini di
distribuzione delle specie. Velocità di migrazioni coatte
più rapide (RMR) indicano un aumento della
possibilità di diminuzione locale della varietà
di specie. Velocità di migrazioni coatte maggiori di 1.000
m/anno sono state valutate come "molto alte", in quanto estremamente
rare nei reperti storici o fossili. È stato calcolato che la
presenza di CO2 sia raddoppiata in 100 anni. Infatti, anche gli scenari
relativamente ottimistici riguardo alle emissioni indicano che dai
livelli pre-industriali alla metà di questo secolo la
concentrazione di CO2 nell'atmosfera è quasi raddoppiata e
che triplicherà entro il 2100. Ciò suggerisce che
gli RMR qui riportati sono probabilmente molto moderati e che la
necessità di migrazione delle specie potrebbe essere anche
più rapida di quella qui indicata.
- In un'analisi di sensibilità,
si è provveduto a variare lo schema di classificazione del
bioma. Si calcola che uno schema di classificazione relativamente
superficiale (poche tipologie di bioma) dia come risultato minori
cambiamenti dell'ecosistema in seguito al riscaldamento e, di
conseguenza, risulti abbastanza moderato. Questo in analogia con la
possibilità che le specie presentino una distribuzione
geografica relativamente grande e/o una tolleranza climatica ampia.
Sono stati impiegati due schemi di classificazione: 1) uno schema
relativamente superficiale con 10 tipologie di bioma, e 2) gli schemi
originali (più ristretti) utilizzati dai modelli globali di
vegetazione (18 tipologie nel BIOME3, 45 nel MAPSS).
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Conclusioni
specifiche |
- Sotto l'ampia
definizione di tipologie di bioma, molte ecoregioni presentano lo
stesso insieme di tipi di bioma prima e dopo il riscaldamento (il 35%
delle ecoregioni con MAPSS, il 51% con BIOME3). Tuttavia, utilizzando
una definizione più ristretta di bioma, solo il 13-19% non
mostra cambiamenti e il 13-25% ha perso più del 10% delle
tipologie originali di bioma. Di conseguenza si calcola che, a causa
del riscaldamento globale, in più dell'80% delle ecoregioni
avvengano estinzioni. I biomi colpiti più duramente sono
quelli settentrionali e australiani. Le ecoregioni che sperimentano le
perdite più consistenti nelle loro tipologie originali di
bioma comprendono il Fynbos del SudAfrica e le savane/praterie del
Terai-Duar del nord-est dell'India.
- Il cambiamento di
bioma a livello locale è risultato essere molto
più diffuso, con una media del 21-34% nelle ecoregioni con
ampia definizione di bioma e del 32-50% in quelle con definizione
più ristretta. Se, a causa di una mancata migrazione, non si
ristabiliscono nuovi tipi di habitat, in molti casi la perdita di
specie può risultare catastrofica. Nello schema con
classificazione più ampia di bioma, il 2% delle ecoregioni
mostra un cambiamento a livello locale di più del 70% e la
possibilità di una perdita disastrosa delle specie. Nello
schema con classificazione più ristretta, la percentuale
sale al 5-19%.
- I cambiamenti a
livello locale del bioma mostrano forti effetti latitudinali e
altitudinali, con grandi cambiamenti ad alte latitudini ed altitudini e
cambiamenti leggermente inferiori nelle aree delle pianure tropicali.
Le ecoregioni di Canada, Russia e Asia risultano particolarmente
vulnerabili. Nella definizione più ampia di bioma, sette
ecoregioni mostrano il 70% o più di cambiamenti in almeno un
modello di vegetazione: la taiga dei Monti Urali (Russia), la tundra
del Basso Artico canadese, le foreste montane dell'Altai-Saian
(Russia/Mongolia), le foreste boreali del lago Muskwa e del lago degli
Schiavi (Canada), la taiga e le praterie della Kamchatka (Russia), la
taiga boreale canadese e le foreste e la macchia dell'Australia
sudoccidentale.
- Nell'insieme delle
loro specifiche tipologie di bioma, alcune ecoregioni sono
particolarmente vulnerabili, mentre altre si rivelano relativamente
stabili. Per esempio, malgrado le sua grandi dimensioni, la tundra del
Basso Artico canadese mostra il 75 e il 77% di cambiamento locale
(rispettivamente per BIOME3 e MAPSS), paragonato al 44 e 57%
rispettivamente per insiemi casuali con la stessa composizione di
bioma. Altre ecoregioni particolarmente vulnerabili comprendono la Puna
secca delle Ande centrali (Cile, Argentina e Bolivia), la steppa di
Daurian (Mongolia e Russia) e la taiga dei monti Urali (Russia). Le
ecoregioni della tundra di Canada e Russia tendono ad essere
relativamente vulnerabili, mentre quelle della Fennoscandia e
dell'Alaska occidentale tendono ad essere relativamente stabili. Ai
tropici, la regione sudamericana tende ad essere vulnerabile, mentre
l'Asia insulare sudorientale e l'Africa centrale tendono alla
stabilità.
- Le percentuali
medie di migrazione coatta (RMR) sono particolarmente alte (superiore a
1.000 m/anno). Nella definizione più ampia di bioma, il
6-11% delle ecoregioni presentano una RMR media superiore a 1.000
m/anno; nella definizione più ristretta, le percentuali
arrivano al 19-42%. Percentuali di cambiamento di questa grandezza sono
circa 10 volte più veloci delle migrazioni rapide avvenute
durante il recente periodo postglaciale e indicano la
possibilità di estinzione nel momento in cui la popolazione
non riesce a ristabilirsi in aree nuovamente accettabili dal punto di
vista climatico.
- Percentuali di
migrazione particolarmente alte sono state osservate nelle aree
settentrionali, specialmente in Canada e Russia, ma anche in Nuova
Zelanda e nell'Australia sudoccidentale. Nella definizione
più ristretta di bioma, si nota la tendenza delle alte
percentuali a prevalere nelle aree temperate e subtropicali. Quasi un
quarto delle ecoregioni, comprendenti una grande varietà di
ecosistemi, presentano percentuali piuttosto alte (>770 m/anno
per tutti i modelli globali di vegetazione [GVM]).
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Conclusioni
generali |
- Il riscaldamento
globale può causare l'estinzione della maggior parte degli
ecosistemi di importanza vitale per il pianeta. Si prevede una perdita
della tipologie di habitat all'interno delle ecoregioni e, in base al
rapporto intercorrente fra l'area e le specie, è possibile
prevedere, di conseguenza, una perdita della biodiversità.
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Sulla
base della risposta delle specie al riscaldamento, soprattutto in base
alla loro capacità di migrare in nuove zone, in molte
ecoregioni il cambiamento di habitat potrà causare una
drammatica perdita di alcune specie.
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Il
fatto che alcune ecoregioni possiedano un alto valore dal punto di
vista della biodiversità riveste scarsa importanza ai fini
della loro protezione dagli effetti del riscaldamento globale.
Benché alcune ecoregioni siano più vulnerabili di
altre, nel complesso esse sperimentano una situazione di poco migliore
rispetto ad altre regioni del pianeta.
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Le
alte percentuali di migrazione coatta (RMR) non costituiscono episodi
isolati all'interno delle ecoregioni. Al contrario, la percentuale
media di migrazioni coatte è superiore a 1.000 m/anno, circa
un ordine di grandezza superiore alla percentuale di migrazione
osservata di frequente nei reperti storici o fossili. Se le specie si
troveranno a fronteggiare cambiamenti climatici, le future percentuali
di migrazione potrebbero risultare senza precedenti. Sicuramente se ne
può dedurre che, anche se alcune piante ed animali saranno
in grado di sopravvivere a queste percentuali, molte altre non ci
riusciranno. Alcune specie dotate di scarse capacità di
dispersione non riusciranno assolutamente a migrare.
-
Probabilmente
il riscaldamento globale avrà la funzione di selezionatore
negli ecosistemi delle ecoregioni, 'filtrando' le specie dotate di
scarsa mobilità e favorendo una vegetazione leggermente
diversa, più "infestante", e gli ecosistemi che sono
dominati da specie pioniere, da specie invasive e da altre con alte
capacità di dispersione.
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Le
alte percentuali di migrazione tendono a diventare comuni ad alte
latitudini ed altitudini; tuttavia, utilizzando una definizione
ristretta di bioma, prevalgono anche negli ecosistemi subtropicali e
aridi.
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Nelle
regioni che non sono mai state sottoposte a glaciazione, dove non vi
è stata una selezione precedente basata sulla
capacità di migrazione, le specie possono riportare danni
incommensurabili. Di conseguenza, anche se le alte percentuali di
migrazione coatta non sono così comuni ai tropici come nelle
regioni più fredde, esse possono rivestire un ruolo
importante in termini di perdita delle specie.
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Gli
effetti del riscaldamento globale vengono significativamente
influenzati dalla distribuzione geografica delle specie e dalla
tolleranza climatica. Le specie che presentano una distribuzione
abbastanza ampia ed una maggiore tolleranza climatica corrono rischi
minori. Le ecoregioni insulari possono essere a forte rischio per le
ristrette dimensioni della loro popolazione, per le scarse
opportunità di migrazione e per l'innalzamento del livello
del mare.
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Le
barriere alla migrazione e la scomparsa degli habitat possono aggravare
la scomparsa delle specie indotta dal clima. La crescita della
popolazione umana, il cambiamento nell'uso della terra, la distruzione
degli habitat e l'inquinamento costituiscono tutti fattori che
aumentano l'impatto climatico. Le accresciute possibilità di
collegamento fra gli habitat naturali all'interno di territori
sviluppati può essere d'aiuto agli organismi per raggiungere
la percentuale intrinseca massima di migrazione e quindi porre un freno
alla scomparsa delle specie. La migrazione risulta maggiormente
problematica per l'ecoregioni insulari isolate.
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Una
riduzione, sia percentuale sia totale, del riscaldamento
ridurrà la scomparsa delle specie. È urgentemente
necessaria una riduzione del biossido di carbonio e delle altre
emissioni di gas ad effetto serra, allo scopo di prevenire la
possibilità di una diffusa, ed a volte catastrofica,
scomparsa delle specie.
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