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Dallo studio della Buca d’Eolo svelati i misteri della glaciazione

 

07/09/09

Nei primi del Novecento il serbo Milutin Milankovitch formulò l’ipotesi che la combinazione dei tre moti astronomici (inclinazione dell’asse, eccentricità dell’orbita e precessione degli equinozi), modificasse ciclicamente la quantità di radiazione solare ricevuta dalla Terra, causando le glaciazioni.
Da allora ad oggi uno dei maggiori rebus della scienza della Terra è scoprire la causa che porta alla formazione  e alla rapida scomparsa delle calotte glaciali.
Un recentissimo studio sull’Antro del Corchia (Versilia), la più grande grotta carsica d’Europa,  appena uscito su Science express dal titolo: Evidence for Obliquity Forcing of  Glacial Termination II effettuato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, dall’Università di Newcastle (Australia), dall’Università di Melbourne, dall’Università Bordeaux (Francia), dall’Enviromental Research Centre of  Scottish Universities, l’Alfred Wegener Institute for Polar and Marine Research (Germania) spiega quali parametri orbitali siano fondamentali per innescare l’inizio e la fine di una glaciazione.
Secondo la neonata scoperta, la penultima deglaciazione inizierebbe circa 141.000 anni fa.
I ricercatori supportano la tesi di essere in grado di poter svelare i meccanismi climatici e ricostruire il clima del Bacino del Mediterraneo per almeno l’ultimo milione di anni.
Facciamo alcune domande a uno degli autori della prestigiosa pubblicazione, il Dott. Gianni Zanchetta dell’INGV.
Dott. Gianni Zanchetta , grazie ai nuovi dati ottenuti dagli studi geochimici avete potuto indicare l’inclinazione dell’asse terrestre come parametro fondamentale per l’innesco per almeno le due ultime fasi di deglaciazione. Da quale intuizione nasce questo vostro risultato?

“Più che un’ intuizione è il classico esempio di ricerca che si basa sulla misura e l’osservazione dei fenomeni. Attraverso lo studio ad altissima risoluzione di alcune stalagmiti e la loro datazione ad altissima precisione siamo passati a comparare questi dati con le curve di variazione dell’insolazione. Fatto questo ci siamo accorti, semplicemente, che i nostri dati erano più coerenti con questo tipo di ipotesi che non con altre. Sapevamo che, in ogni caso, riuscire a datare con precisione l’ultima deglaciazione era un risultato importante, ma inizialmente non avevamo idea verso quale ipotesi saremmo giunti. Con i colleghi stranieri e con la collega Ilaria Isola dell’INGV, inizialmente eravamo un po’ scettici e abbiamo cercato di migliorare la risoluzione e l’accuratezza delle dazioni e alla fine ci siamo tutti convinti della correttezza delle nostre conclusioni”.


Può spiegarci in parole semplici i risultati riguardanti l’innesco dell’ultima deglaciazione in Europa?

“La teoria classica di Milankovitch prevede che l’insolazione estiva nell’emisfero Nord  guidi la danza della ripetuta comparsa e scomparsa di enormi calotte glaciali. Visto che non conta quanta neve si accumuli di inverno, ma conta quanta se ne sciogli d’estate, se in estate si scioglie troppa neve i ghiacciai non riescono ad espandersi. In realtà esistono molte complicazioni, in quanto la variazione dell’insolazione da sola non basta. Comunque sia sulla base di questa ipotesi si è spesso pensato che la deglaciazione cominciasse molto più tardi rispetto ai risultati da noi ottenuti, mentre ora i nostri dati supportano l’idea, almeno per il periodo considerato, che è il riscaldamento precoce dell’emisfero sud, forse propagato attraverso le correnti oceaniche, che da il via al processo di deglaciazione, e che solo successivamente viene sostenuto dall’aumento dell’insolazione nell’emisfero Nord. Questo cambio di punto di vista è fondamentale per spiegare molti processi ed è stato ottenuto grazie all’eccezionale qualità delle stalagmiti dell’Antro del Corchia che conservano il registro climatico con estremo dettaglio e che sono databili, ecco il vero segreto, con elevata precisione”.

 
Voi sostenete di essere in grado di poter svelare i meccanismi climatici e ricostruire il clima del bacino Mediterraneo per almeno l’ultimo milione di anni. In che modo?

“Per definizione un ricercatore deve essere ambizioso, possibilmente senza diventare vanesio. Senza vanteria possiamo dire che siamo sicuri di poterlo fare, semplicemente perché sono anni che ormai lavoriamo in questa cavità carsica. Abbiamo già i campioni adatti e i dati preliminari suggeriscono che si può fare. Ovviamente ci vuole pazienza e ancora molti anni di ricerca ci aspettano. Negli ultimi 10 anni abbiamo raccolto nelle profondità di questa grotta, con grosso sacrifico nostro e dei nostri compagni di viaggio della Federazione Speleogica Toscana, decine di campioni di eccezionale qualità che utilizzando metodi di datazione avanzate, ci permetteranno, utilizzando anche altri indicatori di geochimica come gli isotopi dell’ossigeno e alcuni elementi presenti in piccolissime quantità nella calcite, di ricostruire in estremo dettaglio il clima passato. Questi dati possono anche poi essere utilizzati per sincronizzare altri archivi naturali come le carote marine e svelare i processi che legano il clima terrestre alle variazioni delle correnti oceaniche. Un approccio che abbiamo utilizzato anche nel lavoro in stampa su Science”.


E’ argomento di dibattito quanto possa durare un periodo interglaciale (l’intervallo fra due glaciazioni successive) secondo alcuni circa 10.000 anni. Siete daccordo?

“’Sono più di 10.000 anni che l’uomo usufruisce di un clima relativamente mite dell’attuale interglaciale, e forse solo grazie a questa condizione che le civiltà complesse si sono potute sviluppare. Se dovessimo basarci solo sui dati di insolazione adesso non siamo poi cosi lontani da una situazione glaciale, ma la quantità di CO2 nella nostra atmosfera è significativamente molta di più. Il problema che non tutti gli interglaciali sono uguali, dipende dalla configurazione orbitale. Il più simile all’attuale si è avuto circa 400mila anni fa. Questo interglaciale, conosciuto come  MIS11, è oggetto di molti studi, perché può fornire una chiave di lettura per capire come finirà l’attuale periodo  interglaciale e forse anche per comprendere dove ci porterà un’ eventuale eccesso di CO2 di origine antropica. E’ inutile nasconderci che uno dei nostri prossimi obiettivi sono proprio le stalagmiti che contengono il segnale del periodo MIS11 e ci aspettiamo ottimi  risultati.

Sonia Topazio (Capo Ufficio Stampa INGV)
© INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia