L'artico salvato dal
petrolio
Il
progetto di scavare petrolio nel parco nazionale dell'Artico, in
Alaska, è archiviato. Il Senato degli Stati uniti
giovedì ha respinto la proposta di autorizzare le
prospezioni petrolifere in quella zona protetta con 54 voti contro 46:
ovvero, con otto senatori repubblicani che hanno votato contro il loro
presidente. Un voto «ambientalista» che ha messo
fine alla questione, almeno per questa legislatura. Appena un mese fa
il Senato aveva respinto un progetto di legge (democratico) per rendere
più stringenti gli standard di efficienza energetica dei
veicoli. Il risultato è che la legge di politica energetica
che uscirà infine dal Senato includerà modenti
incentivi fiscali per la conservazione energetica, ma non grandi
cambiamenti rispetto al piano presentato dall'amministrazione. Salvo
che sulla questione dell'Artico.
Nel piano energetico presentato da Bush non più di un anno
fa, la richiesta di aprire il Arctic National Wildlife Refuge alle
prospezioni petrolifere era un punto centrale. Per la Casa Bianca i
giacimenti contenuti in quella porzione di costa sono «di
gran lunga la maggiore fonte inesplorata di petrolio
nazionale», che permetterebbe di diminuire in modo drastico
la «dipendenza» dal petrolio importato. In
realtà il parco dell'Artico è questione
più ideologica che di sostanza: il 95% della costa
settentrionale dell'Alaska, fuori dall'area del parco nazionale,
è già aperta alla ricerca petrolifera. Aggiungere
il milione e mezzo di acri della costa protetta, con il suo giacimento
stimato tra 6 e 12 miliardi di barili di greggio (gli Stati uniti
consumano circa 7 miliardi di barili in un anno), porterebbe un modesto
vantaggio dal punto di vista della produzione: anche perché
estrarre petrolio in quella zona dell'Artico ha costi assai elevati e
altre zone della stessa Alaska, delle Montagne rocciose e del Golfo del
Messico (aperte alle attività petrolifere
dall'amministrazione Bush) sono molto più promettenti.
E però le compagnie petrolifere hanno fatto campagna
perché quel parco naturale fosse aperto alle loro trivelle:
una questione di principio. Giorni fa Stephen Moore, presidente del
Club for Growth («club per la crescita», lobby che
finanzia i candidati politici conservatori) spiegava al New
York Times che il punto è contrastare l'idea
ambientalista che bisogna conservare energia: «Sono
categoricamente opposto all'idea della conservazione energetica. Non
stiamo restando senza (petrolio). Dobbiamo solo andare a cercarlo dove
si trova e tirarlo fuori». L'amministrazione Bush
è arrivata a mettere ai voti la proposta di aprire le
prospezioni petrolifere nel parco artico e devolvere una parte dei
ricavati ai contributi sanitari per gli operai pensionati dell'acciaio
- un tentativo di guadagnare il consenso dei senatori eletti negli
stati con forte industria dell'acciaio. Tentativo fallito,
perché anche quella proposta giorni fa è stata
respinta (64 a 36). Né è servita la massiccia
operazione di lobby giocata da Arctic Power, organizzazione lautamente
finanziata dal governo dell'Alaska e da alcune compagnie petrolifere -
nei giorni scorsi aveva perfino mandato a Washington un gruppo di
Eskimesi Inupiat a dire che loro vogliono i posti di lavoro legati allo
«sviluppo» petrolifero. Sul fronte opposto la
mobilitazione è stata altrettanto massiccia, anche se non
c'erano i milioni di dollari: azioni di propaganda negli stati
rappresentati da senatori indecisi, annunci pubblicitari, volantini e
stemmini in tutto il Senato... Nelle dichiarazioni di voto il senatore
Frank H. Murkovski (repubblicano, candidato al posto di governatore in
Alaska) ha tirato in ballo i posti di lavoro, l'indipendenza
energetica, perfino la sicurezza nazionale dopo l'11 settembre (e ha
parlato quattro ore, in un'aula semivuota, per essere sicuro di andare
in tv all'ora di cena nella sua Alaska che è quattro ore
dopo Washington). All'opposto, Joseph I. Lieberman ha invocato
argomentazioni tutte ambientali: la conservazione energetica,
l'equilibrio di un ecosistema fragile come quello delle tundre artiche.
Alla fine, il fronte ambientalista ha vinto la sua battaglia.
Tratto da www.ilmanifesto.it
di Marina Forti
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