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L'Artico minacciato dagli umani

 

Era la regione delle grandi solitudini ghiacciate, spazi sconfinati e vergini. Le solitudini forse sono rimaste: il polo nord resta una regione molto poco popolata dagli umani. Ma neppure le terre e i mari che si trovano oltre il circolo polare artico sono ormai al riparo dai problemi ambientali globali, dal riscaldamento del clima all'inquinamento industriale.
Almeno due studi diffusi in questi giorni ne rendono conto. Uno, coordinato dall'Unep (il Programma delle Nazioni unite per l'ambiente), raccoglie il lavoro di scienziati di diverse istituzioni e paesi nell'arco di dieci anni: afferma che al ritmo attuale di espansione, tra cinquant'anni l'80% della regione artica sarà "colonizzata" da attività industriali, estrazione petrolifera, operazioni minerarie, centrali idroelettriche... L'altro è uno studio dell'Accademia Russa delle Scienze, riportato lunedì a una conferenza del Wwf a San Pietroburgo: tratta dell'impatto del cambiamento del clima sull'artico e mostra come il corso d'acqua dei grandi fiumi siberiani - lo Yenisey, la Lena - si sia ingrossato negli ultimi anni principalmente a causa dello scioglimento del permafrost, il terreno della tundra, chiamato così perché suolo e roccia vi sono tenuti insieme dal ghiaccio perenne.
Del resto le inondazioni del mese scorso lo testimoniano, quando la Lena ha prima sommerso la cittadina di Lensk e poi minacciato di Yakutsk, centro industriale e minerario della Siberia, capoluogo della regione chiamata Yakuzia. Le piene primaverili non sono rare in quella zona della Siberia, ma questa è stata la peggiore inondazione degli ultimi cento anni. In parte va addebitata al gran freddo dell'inverno passato, con grandi masse di neve e ghiaccio che in maggio hanno cominciato a sciogliersi. Ma nell'insieme, i bacini da cui pescano i grandi fiumi siberiani non hanno ricevuto più acqua e neve negli ultimi anni. I fiumi si ingrossano però perché l'aumento delle temperature ha scaldato la tundra e cominciato a sciogliere il permafrost - con conseguenze sia sull'ambiente che sugli umani: basti pensare che le case, fondate su piloni conficcati nel suolo gelato, rischiano di trovarsi affondate nella melma.
Le ricerche coordinate dall'Unep non si occupano invece di clima, ma di come l'espandersi di attività umane nella regione artica minacci la biodiversità. Si pensi che all'inizio del secolo il 5% della regione era "colonizzata" da infrastrutture di qualche tipo, oggi è il 15% - in Siberia e in Alaska si arriva al 20%. L'Unep avverte che la gran parte degli ecosistemi artici sono poco protetti - per la precisione, avverte uno studio del Wwf e della Banca mondiale, il 3% delle zone dichiarate protette sono ben gestite, il 65% lo sono male, il 32% non è gestito per nulla. Mentre lo sviluppo industriale aumenta, ovviamente nelle zone meridionali - si pensi ai nuovi progetti petroliferi in Alaska per cui preme il presidente degli Stati uniti George Bush. Nuovi piani di "sviluppo" sono previsti anche in Russia, ad esempio nella penisola di Yamal (già ora ci sono raffinerie di gas). Lo scioglimento dei ghiacci per periodi sempre più lunghi dell'anno permetterà di aprire una nuova via marittima, 5.600 chilometri dal mare di Barents (a nord della penisola scandinava) fino al mare di Berings (l'estremo nord del Pacifico), attraverso l'omonimo stretto: ridurrà parecchio il tempo di navigazione dall'Europa all'Estremo oriente. Ma soprattutto permetterà di meglio sfruttare le ricchezze naturali della Siberia, petrolio, gas, minerali, energia idroelettrica, legname delle grandi foreste. Con un sistema originale di mappatura degli spazi vergini (chiamato Globio), gli scienziati dell'Unep stimano l'impatto di questi sviluppi: una linea di trasmissione dell'alta tensione o un oleodotto scacciano la fauna selvatica fino a 4 chilometri attorno, una strada fino a 5 chilometri, un nucleo di abitazioni fino a 10 chilometri; l'effetto accumulato sull'ecosistema si sente fino a 20 chilometri. Così, grandi mammiferi come renne e caribù diminuiscono nel raggio di 10 chilometri da qualsiasi infrastruttura, lupi e orsi finiscono per abbandonare le zone troppo abitate, gli uccelli fuggono - alla ricerca di quel che resta delle grandi solitudini.


di Marina Forti
www.greenpeace.org/arctic