Attraversati
i Balcani
e approdati in Turchia, terra ricca di fascino e di gente ospitale, ci
siamo diretti verso la Georgia, paese caratterizzato da una totale
anarchia che, abbinata alla povertà, lo rende un luogo non
certo ospitale. Più volte ci siamo trovati ad affrontare situazioni
potenzialmente pericolose durante le nostre soste a Batumi e Tbilisi,
ma con un po' di fortuna, simpatia e diplomazia italiana, le abbiamo
risolte senza problemi. Entrati successivamente in Azerbaigian, durante
una tappa notturna siamo stati attratti dai numerosi fuochi accesi ai
bordi delle strade e ci siamo fermati. Scoperto che si celebrava il
capodanno locale, abbiamo avuto l'opportunità di
festeggiarlo con i residenti facendo del nostro meglio nei loro balli
tradizionali, e sicuramente meglio nel mangiare piatti caratteristici.
Dopo alcuni giorni di sosta a
Baku, ci siamo imbarcati alla volta di Aktau in Kazakistan. Trascorsa
una
piacevole notte sulle dolci onde del Mar Caspio, e una meno gradevole
al porto
kazako per via di alcuni problemi portuali
che hanno impedito alla nave di attraccare in orario, siamo saliti
sulle nostre
vetture e ci siamo diretti alla volta dell'Uzbekistan. Abbiamo quindi
affrontato
il deserto attraverso 600 km di pista. Sono stati giorni stupendi, ma
duri. Le
notti nel deserto sono, infatti, estremamente rigide con temperature
parecchio
al di sotto dello zero e un forte vento carico di sabbia che rendeva
impossibile
attrezzare un campo, e ci ha costretti a dormire nelle vetture per
alcune notti
consecutive. La solitudine e il silenzio del deserto ci hanno circondati
di un'atmosfera irreale, sensazione che ha assunto una tinta tetra
quando ci
siamo avvicinati alle sponde dell'Aral: trent'anni fa, prima della
costruzione
delle dighe che stanno uccidendo il lago, erano ricche di vita, mentre
oggi
sono abitate solo da carcasse di animali. Usciti dalla pista, abbiamo
raggiunto
Buhara, il Luogo che con Samarcanda ha popolato per secoli i sogni di
tutti i
viaggiatori. La città, ricca di monumenti, di moschee e di
splendore, si è
rivelata pienamente degna della sua fama. I giorni trascorsi tra le vie
della
città vecchia e lo splendido e ricchissimo bazar sono volati
al pari di quelli
trascorsi a Samarcanda, meta successiva, dove abbiamo ammirato tutte le
opere
edificate per ordine del famoso imperatore Tamerlano. Nei giorni
successivi
abbiamo proseguito attraverso l'Uzbekistan sostando in numerosi
villaggi dove la
popolazione del luogo ci ha intrattenuto con le storie e le leggende
del suo
meraviglioso Paese.
Rientrati in Kazakistan, abbiamo
attraversato il territorio da sud a nord percorrendo una serie di
paesaggi
mozzafiato,
dalle infinite distese di verde ai brulli scenari desertici. Qui la
fortuna di
un'improvvisa pioggia notturna ci ha regalato,
il giorno dopo, una sorpresa inaspettata: il deserto grigio e assetato
si
era trasformato in una stupenda distesa verde di germogli pieni di
vita. In
questo paese non abbiamo incontrato grandi città, ma
numerosi piccoli villaggi
dove il nostro arrivo si trasformava subito in una festa. Proseguendo a
nord
verso la Russia, il clima è rapidamente cambiato e durante
una tappa notturna
siamo stati investiti da una bufera di neve che ha letteralmente
cancellato la
strada, costringendoci a proseguire a passo d'uomo. Abbiamo
attraversato il
confine nel silenzio. Era pura magia. Intorno a noi solo neve e alberi
spogli,
le famose betulle rosa di una delle regioni più affascinanti
del pianeta: la
Siberia.
Proseguendo sempre verso est,
abbiamo attraversato Novosibirsk, famosa per i suoi inverni
rigidissimi, Irkutsk,
ricca di chiese nelle quali abbiamo assistito ai riti locali della
Pasqua e Ulan
Ude, situata ai confini con la Mongolia e abitata prevalentemente dai
buriati,
totalmente diversi per aspetto e costumi dai russi. La nostra corsa
è
proseguita poi, sempre in Siberia, tra laghi, monti, villaggi. Scenari
indimenticabili ci hanno accompagnato fino a Cita, dove abbiamo dovuto
caricare
le vetture su una piattaforma ferroviaria, l'unico mezzo per
attraversare i tre
grandi fiumi che in questo periodo del disgelo s'ingrossano e allagano
vaste
zone sul loro cammino. Sempre verso est, sostando più volte
nei numerosi
villaggi che abbiamo incontrato, abbiamo raggiunto finalmente
Vladivostok, città
militare fino a pochi anni fa chiusa agli stranieri.
Qui,
dopo alcuni giorni di riposo, abbiamo imbarcato le vetture sul
traghetto che in
due giorni ci ha condotto alla meta finale: il Giappone. Si
è trattato
quasi di uno shock passare in poche ore dalla tipica lentezza
burocratica e
dalla disorganizzazione siberiana e russa in generale alla perfezione
nipponica,
dove non esistono i se o i forse, ma tutto è organizzato fin
nei minimi
particolari. Entrando nella sede principale della Isuzu, che era tra
gli sponsor
del raid, siamo stati ricevuti dal caloroso applauso di tutti i
dipendenti e
dirigenti della casa motoristica giapponese. Quando abbiamo tagliato il
nastro
d'arrivo, ci siamo emozionati alla consegna dei fiori, simbolo di
grande
rispetto e gratitudine in Giappone, e con poche parole abbiamo cercato
di
esprimere tutta la nostra felicità per l'accoglienza e la
riuscita del viaggio.
Una cena tipicamente giapponese ha chiuso l'avventura, ma tutte le
sensazioni
ancora traspaiono dai nostri volti. E' stato un viaggio lungo e molte
volte
difficile, ma tutti i momenti di gioia e di sofferenza sono parimenti
importanti, perché viaggiare non è solo muoversi
nello spazio, ma un continuo
peregrinare all'interno di noi stessi, dentro le emozioni, i sentimenti
e la
mente nella perpetua ricerca di tutte le dimensioni che fanno parte del
nostro
io.
Adalberto Buzzin
|