Walking
on the moonland !
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29 agosto 2003
Il gruppo trekking Dimensione Avventura e’ euforico
per la partenza che e’ fissata per le 10 o giù di lì….. abbiamo
quindi il tempo di tuffarci
nella fantastica pozza d'acqua calda che si trova accanto al campeggio
di LANDMANNALAUGAR, fare una bella doccia, visto che chissà
quando ce ne recapiterà l'occasione, e mangiare qualcosa. Diamo
un'ultima sistemata agli zaini, ingrassiamo le scarpe e siamo pronti per
l'inevitabile foto di gruppo tra le grida di saluto e incoraggiamento
dei nostri compagni di viaggio.
Il tempo sembra buono, solo qualche nuvola qua e là che non basta a
scalfire il nostro entusiasmo da giovani marmotte. Partiamo in fila
indiana, tutti dietro Marco "la Voce della Natura",
equipaggiati più come un gruppo di escursionisti della domenica che
come trekkers professionisti che si apprestano a compiere un percorso
classificato dalla Lonely Planet
come uno dei tre più belli al mondo.
La tappa di oggi è tutta in salita. Incoraggiati dal sole e dal
paesaggio che si rivela spettacolare fin dai primi minuti di cammino,
percorriamo abbastanza velocemente il primo tratto del sentiero che si
inerpica su per le colline alle spalle del campeggio. Una volta arrivati
abbastanza in alto facciamo una piccola sosta, per riprendere un po' di
fiato e calorie. Dagli zaini spunta fori cioccolata in tutte le sue
forme possibili, mentre inizia a cadere qualche goccia di pioggia. Il
tempo di indossare giacche e pantaloni antivento, però, basta a far
tornare il sereno. La marcia riprende lungo un sentiero che si fa ad
ogni passo più bello. Attorno a noi, montagne di ogni forma e
consistenza ci offrono un campionario di colori indescrivibile; c'è
almeno un esemplare di tutti gli elementi presenti in natura: sembrano
le prove generali della creazione! Colline gialle dai fianchi morbidi
come dune del deserto, montagne dalle pareti colorate di un verde acceso
o di un rosso mai visto prima (Marco ci spiega che si tratta di
minerali, rispettivamente rame e ferro, che il magma ha portato in
superficie), distese nere di lava ruvida e increspata e, in lontananza,
il bianco ormai familiare del ghiacciaio. Le nostre macchine
fotografiche continuano a scattare, come impazzite, mentre ci
arrampichiamo senza fatica lungo il sentiero.
Pranziamo sotto un sole fantastico, in una piccola valle attraversata da
un fiumicciatolo di acqua sulfurea. Attorno a noi la roccia è
completamente ricoperta da un muschio morbidissimo di un verde
incredibilmente brillante e qua e là si apre per lasciar zampillare
fuori getti di vapore o di acqua calda. Riprendiamo il cammino
lasciandoci alle spalle una serie di laghetti bollenti di uno
straordinario colore tra il celeste e il grigio, che spiccano come
pietre preziose nel verde circostante. Ora la salita si fa più dura, o
forse sono i chilometri che cominciamo ad accumularsi sulle spalle
insieme al peso degli zaini. Ma l'Islanda ci premia ancora una volta con
un altro scenario da favola. Appena "scavallata" la collina,
davanti ai nostri occhi un immenso deserto di ossidiana luccica sotto
questo sole ostinato. Le pietre, di ogni forma e dimensione, brillano
come gemme intagliate da una mano sapiente e misteriosa. Ci lanciamo
nella raccolta di souvenir, mentre la Voce della Natura ci raccomanda di
non esagerare. E in effetti, una volta sollevati da terra e allontanati
da quel contesto stregato, i piccoli pezzi di ossidiana perdono buona
parte del loro fascino.
Al rifugio di SODULL mancano ormai pochi chilometri e li
percorriamo senza difficoltà. Si trova a 1.110 metri di altitudine,
proprio alle pendici di un ghiacciaio e anche qui c'è un panorama che
non si vede tutti i giorni. Facciamo un po' di stretching tutti insieme
e poi montiamo le tende all'interno di muretti a secco a forma di ferro
di cavallo che serviranno a ripararle dal vento. Nel giro di una
mezz'oretta siamo di nuovo in marcia, diretti a JOKULHAUS,
un punto in cui il ghiacciaio, sciogliendosi, forma una serie di grotte.
Per arrivarci dobbiamo anche passare su di un enorme lingua di ghiaccio.
Marco va avanti, per saggiarne la consistenza. Dietro di lui, in
rigorosa fila indiana, tutti noi stiamo attenti a mettere i piedi sulle
sue orme. All'arrivo una sorpresa: il resto del gruppo, con furgoni e
fuoristrada, ci ha preceduti di poco. Ci godiamo tutti insieme questo
spettacolo mozzafiato. Un'enorme caverna di ghiaccio il cui soffitto è
stato scavato da misteriose forze della natura come un panetto di burro,
fino a creare un cunicolo alla cui estremità spicca l'azzurro intenso
del cielo. All'uscita della grotta l'acqua, scorrendo dalla sommità del
ghiacciaio, crea una piccola cascata all'interno della quale, grazie ai
raggi di questo sole così poco islandese (ma molto sardo….), si vede
l'arcobaleno. Per noi è tempo di tornare al campo. Sul grande tavolo di
legno posto davanti al rifugio iniziamo la preparazione della cena. È
un trionfo di zuppe, minestrine e risotti liofilizzati. Non avrei mai
creduto che questa roba un giorno mi sarebbe sembrata così gustosa. È
una bella serata, ma dopo cena si alza un venticello freddo che smorza
un po' la nostra voglia di chiacchierare.
È ora di andare in tenda: domani ci aspettano altri 18 chilometri!
30
agosto 2003
"Sveglia bimbi! C'è il sole!". Alle otto
spaccate, come ci aveva promesso, la Voce della Natura interrompe una
fenomenale notte di sonno. In effetti anche oggi è una bella giornata,
magari non come quella di ieri ma, considerato dove siamo, proprio non
ci possiamo lamentare. Facciamo colazione con calma, smontiamo le tende
e ci rimettiamo in cammino. Oggi il sentiero dovrebbe essere quasi tutto
in piano, se non in leggera discesa. Possiamo vederlo anche da qui, con
i paletti rossi e gialli che spiccano sul nero della sabbia,
inseguendosi a intervalli regolari, e scompaiono poi in fondo alla
valle.
I fianchi della montagna sono attraversati da solchi profondi che
scendono verso valle ripartendosi in mille canali simili a torrenti
inariditi. Visti da qui, creano un bellissimo effetto e conferiscono al
paesaggio un'aria morbida e rilassante. Ma quando ci tocca
attraversarli, scendendo in profondità e risalendo dall'altra parte con
i piedi che scivolano e affondano in questa sabbia nera il nostro
entusiasmo si attenua. In questo tratto raggiungiamo anche una giovane
turista canadese partita stamattina presto dal nostro stesso rifugio.
Viaggia da sola, trascinandosi sulle spalle uno zaino gigantesco, il
minimo indispensabile - ci dice - per un viaggio lungo come il suo. La
salutiamo e proseguiamo il cammino.
Arrivati alle pendici del monte HARSKERDINGUR, che con i
suoi 1281 mt è tra le cime più alte della zona, ci fermiamo per uno
spuntino. Ma non facciamo a tempo a posare gli zaini che Marco proclama
la scalata alla vetta con i pochi volenterosi che vorranno seguirlo. Ci
arrampichiamo in 6, come formiche, su una parete che a me sembra
praticamente verticale. Dalla cima, una vista spettacolare sulla strada
che abbiamo appena percorso e su quella che ancora ci aspetta!
Discendiamo la montagna su un altro fronte, completamente coperto di
ghiaccio. Da questo lato la pendenza è meno decisa, per cui ci
divertiamo a lasciarci scivolare simulando una discesa libera senza sci!
Il gruppo, ricompattato, riprende la marcia, incoraggiato dalla visione
del traguardo intermedio della giornata: il lago dove dovrebbero
aspettarci i fuoristrada nel pomeriggio. Si trova nella cosiddetta
"valle delle fate" e, man mano che la nebbia davanti a noi si
dirada, capiamo facilmente le ragioni di questo nome. Arrivati al punto
panoramico dove consumeremo il pranzo, il lago riposa davanti ai nostri
occhi nella tranquilla immobilità di un acquerello. Lo circondano
montagne scure, su cui il muschio sembra scivolare in una serie di
lingue sottili che scendono verso valle, come se qualcuno vi avesse
versato su enormi barattoli di vernice verde brillante.
Dopo pranzo ci aspetta un primo, piccolo guado. Marco studia dall'alto
la situazione e individua il punto in cui il fiume sembra più
facilmente attraversabile. Una volta arrivati sul posto, però, la
situazione si rivela più complicata del previsto e, dietro l'esempio
della nostra infallibile Guida, posizioniamo alcuni grossi massi nel
fiume, più o meno in fila indiana, allo scopo di poterlo guadare più
facilmente. L'operazione riesce e ne beneficia anche la turista canadese
che nel frattempo ci ha raggiunti.
Ormai è quasi fatta. Percorriamo gli ultimi metri che ci separano dai
fuoristradisti tenendoci tutti per mano e, quando arriviamo abbastanza
vicini, iniziamo a correre e a gridare a squarciagola simulando una
carica. Loro fanno lo stesso venendoci incontro: sembra una scena di
"Brave Heart", solo che, per fortuna, si conclude senza
spargimenti di sangue, ma con abbracci, strette di mano e pacche sulle
spalle.
Abbiamo poco tempo per riposarci e raccontarci le rispettive giornate.
Massimo e Maurizio, i Capigruppo del viaggio, ci accompagnano in furgone
per un quarto d'ora di strada e poi ci abbandonano nuovamente sul ciglio
del sentiero. Al rifugio di BOTNAR mancano altri 8 Km di
deserto nero. Li percorriamo in silenzio, a piccoli gruppi, con Marco
davanti a fare strada. Siamo quasi arrivati quando, sulla cima di una
duna alla nostra sinistra, vediamo un piccolo quadrupede che scappa,
spaventato dalla nostra presenza. È una volpe artica, come ci spiegherà
poi la Voce della Natura, attirata in questa zona dalla presenza del
rifugio e dei relativi avanzi di cibarie degli escursionisti.
La ranger che ci accoglie è molto simpatica e ospitale. Mentre facciamo
stretching e montiamo le tende inizia a cadere qualche goccia di
pioggia. Non abbastanza, però, da farci rinunciare all'idea di cucinare
tutti insieme sul grande tavolo all'aperto.
Dopo cena, mentre scende piano piano la notte e, con lei, un'umidità da
tagliare a fette, Marco - tra un caffè, un tè, una tisana e qualsiasi
altra bevanda calda che riusciamo a tirare fuori dalle nostre provviste
- ci tiene svegli e allegri con alcuni esilaranti racconti di sue
precedenti esperienze di viaggio, facendoci già sognare le prossime
mete. Ma per il momento la prossima meta è la tenda! Buona notte!
31
agosto 2003
Al risveglio il campeggio è immerso in un banco di nebbia:
ci muoviamo quasi a tentoni per raggiungere il tavolo della colazione! A
poco a poco, però, mentre il fornelletto scalda l'acqua per il caffè,
la visibilità va aumentando e, al momento della partenza dal rifugio,
si può quasi dire che il tempo sia bello!
La tappa di oggi non dovrebbe presentare grossi problemi. 16 km circa,
tutti tendenzialmente in piano, con un'unica, inquietante incognita: un
guado piuttosto impegnativo a cui Marco ci sta preparando
psicologicamente fin dalla partenza. Le nostre gambe, ormai abituate ai
ritmi sostenuti di questi giorni, si mettono al lavoro senza protestare.
Dopo un tratto di saliscendi dobbiamo attraversare un fiume che scorre
tra due alte pareti di roccia basaltica. L'acqua di scioglimento del
ghiacciaio si incanala in un canyon abbastanza profondo che attraversa
tutta la valle, offrendo ai nostri occhi uno spettacolo ancora nuovo.
Per fortuna c'è un ponte, ma per raggiungerlo dobbiamo calarci lungo
una discesa sabbiosa abbastanza ripida, aiutandoci con una fune.
Continuiamo a costeggiare il canyon che, in qualche punto, arriva a
profondità di tutto rispetto. A renderlo ancora più spettacolare, le
colonne di basalto che si allineano lungo le sue pareti, solenni e
regolari come canne di un enorme organo.
Mentre il cielo comincia a coprirsi lentamente, diamo fondo alle scorte
alimentari per l'ultimo pranzo da trekkers. Davanti a noi, parzialmente
coperta dalle nuvole, domina il paesaggio una grande montagna dalle cime
aguzze e irregolari. Il suo aspetto ha qualcosa di misterioso e
diabolico e la nebbia, che ogni tanto l'avvolge, le conferisce un'aria
ancora più tetra.
Ma ormai le nostre energie sono tutte concentrate sul guado che si
avvicina inesorabilmente. Prima, però, ci aspetta un'ultima salita per
raggiungere la vetta della collina dalla quale Marco, scrutando il
fiume, individuerà il punto ideale per l'attraversamento. Visto da qui
non sembra poi così difficile. L'acqua, infatti, non scorre in un unico
alveo, ma si ripartisce in tanti piccoli rivoli, apparentemente poco
profondi. In realtà poi, arrivati sull'argine, ci accorgiamo che forse
è il caso di ridimensionare un attimo gli entusiasmi.
Ci sparpagliamo nella zona per fare la pipì, secondo le indicazione
della Guida: pare, infatti, che l'acqua gelata aumenti mostruosamente lo
stimolo, per cui è consigliabile farla qui per evitare di trovarsi in
situazioni imbarazzanti nel bel mezzo del guado!
Marco attraversa per primo. Si leva scarpe e pantaloni, inforca le
ciabatte e, con lo zaino sulle spalle ed in mano gli inseparabili
bastoni da trekking, affronta la potenza del fiume.
Procede lentamente, appoggiando i piedi con estrema cautela. Nel punto
più alto l'acqua gli arriva alle cosce il che, considerato quant'è
alto, vuol dire che per noi è il caso di tirare fuori le mutande di
ricambio!
Per secondo passa Gianni, che ci rimette una ciabatta, travolta
dall'impeto delle acque. Poi, uno alla volta, in mutande, giacca a vento
e zaino in spalla, passiamo tutti, ognuno col suo stile, magari non
sempre impeccabile, ma evidentemente efficace, visto che non consegniamo
vittime al fiume.
L'acqua è effettivamente gelida, ma siamo così concentrati a seguire
le istruzioni di Marco, che dall'altra sponda regge il capo della fune
di sicurezza con cui siamo imbracati, che in quei momenti non ci si fa
neanche tanto caso.
Il tempo di asciugarsi e rivestirsi in fretta e siamo di nuovo in
cammino per percorrere l'ultimo tratto di strada. Il paesaggio cambia
ancora una volta e, mentre inizia a cadere una pioggerellina sottile e
fastidiosa, noi scavalchiamo una collina dopo l'altra attraversando
questo inedito bosco di betulle nane (i primi alberi che vediamo in
Islanda!).
Ai bordi del sentiero, un impressionante numero di funghi porcini dalle
dimensioni mai viste prima attirano subito la nostra attenzione.
Iniziamo a raccoglierli come fossero rarità, ma dopo un po' di metri,
riempita la grande busta che al povero Gianni tocca trascinarsi dietro,
ci accorgiamo che qui praticamente sono presenti come le margherite nei
nostri prati e ci concentriamo di nuovo sulla strada per la volata
finale.
Nella nebbia che ci avvolge completamente arriviamo, esausti e bagnati,
al rifugio di VALAHNUKUR. Ci fermiamo qualche minuto per
riprendere fiato. All'interno della piccola struttura in legno, quattro
ragazzi chiacchierano seduti in poltrona davanti ad una pentola
fumante… dopo una giornata come la nostra questo posto mi sembra
incredibilmente familiare ed accogliente.
Siamo praticamente arrivati, in lontananza si intravedono i furgoni che
ci aspettano qualche centinaio di metri più in là. Sul ponte, Barbara
e Chiara fanno da esca involontaria per la trappola che Spartaco (leggi
Maurizio) e i suoi perfidi scagnozzi (leggi Massimo e Luca) hanno
preparato per noi. Nascosti dietro le rocce, anticipano il nostro
passaggio con una piccola, scherzosa frana di benvenuto! Siamo troppo
esausti per accorgercene… altri pochi passi e saliamo a bordo dei
furgoni, diretti al campeggio di BASAR dove ci aspetta il resto del
gruppo.
Siamo stanchi, ma di una stanchezza bella, di cui essere
tutto sommato orgogliosi !!!
Grazie Islanda, grazie Marco, nostra
insostituibile Voce della Natura e grazie Dimensione Avventura
....nessuno di noi dimenticherà facilmente questi giorni!
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